La ceramica paleoitaliana

 

La ceramica medioevale, dal secolo VII al XII, è stata denominata 'paleo-italiana'.

Si tratta di una produzione piuttosto rozza e pesante perchè si erano disimparate le regole della cottura e si adoperavano degli ingredienti impuri che rendevano l'impasto grigio e appesantivano la colorazione.

La decorazione è elementare e consiste in un forte rilievo a bozze, a squame, a denti di lupo, mentre la vernice vetrosa, gialla o verde, spesso non riveste tutto il corpo del vaso; eppure questa ceramica non è priva di una sua rude bellezza.

Nella prima età comunale, con l'inizio delle costruzioni romaniche, apparvero le grandi scodelle, dette bacini, che venivano inserite nelle architetture per impreziosirle con la loro cromia. Gli effetti di colore sugli edifici erano già noti all'architettura romana, ma essi assunsero un valore particolare nel Medio Evo, obbedendo anche ai suggerimenti dell'architettura bizantina e soprattutto di quella araba che dedicava grande attenzione al rivestimento cromatico degli edifici.

L'impiego di bacini ebbe larga diffusione nell'architettura religiosa dell'Italia centrale e meridionale, ma arrivò anche nel settentrione e riguardò in particolar modo i campanili che, essendo maggiormente esposti alla luce nelle loro parti alte, facevano ancora più risaltare gli effetti del colore. Un esempio straordinario di questo impiego è la decorazione dell'abazia di Pomposa presso Ravenna.

Per queste decorazioni si fabbricavano bacini "in loco", ma molti erano prodotti dagli arabi di Spagna e nel Medio Oriente, dove si producevano già gli invidiatissimi lustri metallici.

L’Islam infatti impediva l'uso di metalli preziosi per il vasellame e per questo, già dal X sec. d.C., in Egitto nel Vicino Oriente, si adoperarono dei colori lustri sulla maiolica in modo da imitare i metalli preziosi. Nella Spagna del XIV e XV sec. questa tecnica raggiunse una fioritura senza pari.

In Italia, nel XVI sec., Giorgio Andreoli, noto come mastro Giorgio di Gubbio, produceva lustri metallici su maiolica con colori giallo-oro, verde turchino e rosso rubino acceso. I riflessi iridescenti e lustri metallici in varie tonalità provenivano da sali o ossidi metallici, che, applicati in maniera spessa sul vasellame smaltato e cotto, erano sottoposti ad una terza cottura a 650 °C in atmosfera riducente. A questa temperatura lo smalto stannifero cominciava a rammollire e permetteva adesione dei lustro metallico.

Piccolpasso, trattatista del XVI sec., cita una ricetta del mastro Cencio, per ottenere il "rosso da maiolica", un lustro rosso rubino:

Terra rossa once 3, Bolo armenio once 1, Fereto di Spagnia once 2

 

 

Da "Storia e Tecnica della Ceramica" saggi di A.A.V.V. Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali

Da CERAMICA VIVA di Nino Caruso Ed. HOEPLI

 


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